Il mio ultimo bacio della buonanotte.


Ricordo che quella sera, dopo cena, Jeannette mi chiese di andare a vedere un film in cameretta, ma le risposi che volevo “stare in famiglia”, insieme a te e mamma. Era un periodo estremamente difficile per me, nel pieno di una depressione che era da mesi che mi stava strappando la carne dalle ossa. Non era ancora riuscita a divorarmi del tutto solo grazie al tuo continuo sostegno, e a quello di mamma e di Jean.
L’8 novembre di anni fa, è stata una serata come tante altre: guardando la TV, commentando, e chiacchierando del più e del meno (ovviamente la voce principale delle conversazioni, era quella tua: e questo, era parte della nostra meravigliosa normalità). Indossavi una maglietta intima bianca, avevi i capelli morbidi e mossi (era domenica, e non dovendo andare al lavoro, non avevi messo il tuo solito gel che li faceva apparire più scuri di quel che erano 😜). Ricordo che una delle cose che mi hai detto, parlando del fatto che tuo cugino Tony dalla Germania stava andando in pensione, è che tu non ci saresti andato prima di una decina di anni (se non di più), e che probabilmente non ci saresti nemmeno mai arrivato, perché saresti” morto prima”. (Dire “tanto morirò prima”, era una cosa che facevi spessissimo. Penso fosse come quando pensavo: “tanto nella versione prenderò 6”, così se succedeva, nessuna novità! E al tempo stesso, assumeva anche sorta di significato scaramantico, come se dicendolo, non poteva accadere). Ti risposi che la dovevi smettere di dire certe cose, perché ogni volta, per pochi attimi, mi proiettava alla realtà di quella frase, e mi faceva stare malissimo. Anche nelle menti degli uomini più geniali, esistono paure ansie che li spingono a pensare con irrazionalità e a dire cose stupide come “tanto morirò presto”. Ecco, questo era il tuo punto più debole, e so che dicendolo, non volevi farmi stare male, ma era qualcosa che non controllavi.
È stata una serata come tante, ed è stata meravigliosa. Molte persone si rendono conto delle cose importati quando non le hanno più. Io no!!. Io lo sapevo quanto fossero preziosi quei momenti. Quei momenti mi tenevano in vita. Alla fine, mi alzai e ti diedi quel bacio, come miliardi di altre volte, e ti dissi: BUONA NOTTE PAPINO MIO.
È stata l’ultima volta che ho sentito il calore del tuo corpo. E’ stata l’ultima volta che ho visto i tuoi grandi occhi e le tue labbra sorridermi. È stata l’ultima volta che ho sentito la tua BELLISSIMA VOCE rispondermi con:” buona notte a te, amore mio”.
Sembra una vita totalmente e completamente lontana, e, al tempo stesso l’unica “vera”, perché questa che vivo adesso non posso chiamarla” Vita vera”. Non senza di te.
È da anni che rifletto e cerco di trovare una motivazione per quello che ti è successo. Ma non voglio appigliarmi, nella mia vulnerabilità, a pensieri che in realtà, non mi appartengono affatto. Mi rifiuto di credere in un Dio che “provvidenzialmente” decide i destini di ognuno di noi. Un Dio che miracola alcuni, lascia morire altri. Un Dio che punisce coloro che vanno contro di lui. (Troppo umano, non pensi?!). Un Dio che ci manda “di passaggio” sulla terra, (mettendoci alla prova?) e poi, per chi si comporta bene, ci dona il paradiso. …PARADISO… Devo confessare che non mi va a genio nemmeno il concetto di paradiso: perché il paradiso, per me, priva di valore la vita vissuta sulla terra. A volte ti proietto in questo paradiso, libero da pensieri, da preoccupazioni, felice, sereno, eterno. Beh, non voglio pensarti così. Non fraintendermi, per me sarebbe il massimo se fossi felice, appagato, gioioso. Ma papà, non sei tu. Se penso a te, ti penso mortale. Amavo la tua mortalità, perché ti rendeva quello che eri. Il fatto che tutto potesse finire, ti faceva assaporare ogni attimo della vita. Vivevi ogni esperienza con tutto te stesso, con l’entusiasmo e la curiosità di un bambino che fa le cose per la prima volta. Davi il massimo di te con tutto e tutti. Piangevi a lacrimoni pieni, sia per la felicità che per la tristezza. Sentivi intensamente tutte le emozioni, perché tutto poteva finire da un momento all’altro. Eri ansioso, avevi una stramaledetta paura della morte, e questa stessa ti spingeva a vivere veramente, e mi rendo conto che vivere sul serio, (apprezzando anche il fatto di soffrire, perché comunque è vita), è una cosa rara!!! E tu, papà, eri raro, rarissimo.
Ritornando alla visione cristiana di vita e di paradiso, specifico che non voglio attaccare il cristianesimo, anche perché qualsiasi altro tipo di religione o filosofia orientale, come ad esempio quella che prevede un’energia vitale che vive dentro di noi, e che una volta morti, ritorna all’origine o si reincarna, non mi appaga comunque. Anche in questo caso, infatti, continui a non essere tu. E io ti voglio qui, con me, VIVO, mortale, in carne ed ossa. Con un cuore che batte. Con dei polmoni che respirano.
E quindi, papà, come spiegare questa realtà? Non lo so. Penso che non lo capirò mai, e che svilupperò negli anni migliaia di teorie. Al momento, ciò che stona meno nella mia mente e che si avvicina di più al concetto di Dio, è ciò che identifico con il caos. Una specie di caos che più si sviluppa per casualità e più si organizza. Ma non è un’entità.
In fondo, per casualità si sviluppano determinati caratteri evoluzionistici, e se sono adatti alla sopravvivenza, si mantengono (evoluzione stocastica). Io applico questo concetto all’esistenza in generale. È il caso, che è in continuo sviluppo. E a causa del caso, si vive e si muore. Mi fa meno rabbia pensarla in questo modo, perché non posso credere a qualcosa che intenzionalmente mi ha portato via te. Questo è un pensiero affine a ciò che girovagava nella mente di un filosofo greco nel III secolo a.C. (e di cui tu mi parlavi spesso): Epicuro. Ma mi distacco da lui sul pensiero che riguarda la morte: lui diceva che non dobbiamo avere paura della morte perché quando la morte c’è, noi non ci siamo, e quando noi ci siamo, la morte non c’è. Ma questo concetto può essere relativo solo alla propria morte, e non alla morte degli altri (che poi non è lecito avere il desiderio di non annullarsi?). Comunque sia, io non ho paura della mia di morte. Io ho paura di svegliarmi la mattina, e dover accettare la realtà che da due anni vivo ogni giorno. Io ho paura della tua di morte. La tua morte c’è, ed è molto presente nella mia vita. Quando il tuo cuore è impazzito e ha smesso di battere, io non sono morta con te (ed è stato strano- lo è tutt’ora- perché mi sono sempre considerata parte di te, anche parte fisica). Mi sento in colpa per questo, perché io non merito di vivere più di te. Ma la verità è che siamo individui unici, e, ahimè, sei morto da solo, come individuo, trascinandoti via la mia felicità, ma non la capacità che ha il mio corpo di sopravvivere.
Papino mio, penso solo che quando mi ritrovo a casa, a tavola, in giardino, fuori ,a fare escursioni, a casa di amici…ovunque…sento un silenzio assordante, perché la voce che era sempre presente e quella che primeggiava su tutto, adesso non c’è più. Ed è un silenzio che grida. Ti cerco ovunque e ti ritrovo ovunque, ma solo in parte, perché ti vorrei tutto. Mi manchi.
TI AMO, e sei un grande, perché se come individuo hai cessato di esistere, come amore, sei eterno.

Pubblicato da Soraya Tilotta

Forma di vita bipede a base di carbonio, discendente da una scimmia. ( Studio medicina nel tempo libero).

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